SIAMO ARRIVATI ALLA FAME. Buoni pasto? Un miraggio nell’averli e nell’utilizzarli

24 Nov 2025

Editoriale di Vincenzo Piscozzo

C’è un limite a tutto. Anche alla pazienza e alla dignità dei lavoratori in divisa. Da mesi sollecitiamo il Comando Generale, segnaliamo criticità, inviamo relazioni dettagliate. Eppure, sul fronte dei buoni pasto, la situazione non solo non migliora: peggiora. E oggi, più che un diritto, il buono pasto è diventato un miraggio, un bene raro, un simbolo paradossale di ciò che non funziona nella nostra amministrazione.

Il censimento condotto in tutte le regioni tramite le nostre segreterie provinciali e regionali ha restituito un quadro che definire sconfortante è dir poco. La prima grande anomalia riguarda l’omogeneità sul territorio nazionale. Comprendiamo i vincoli di bilancio, capiamo i capitoli di spesa, ma non accettiamo, perché non è accettabile, che un collega che non dispone di una mensa di servizio venga penalizzato rispetto a chi la mensa ce l’ha. Dove la mensa esiste, un collega che effettua cinque rientri in servizio può consumare cinque pasti senza problemi.

Dove la mensa non c’è, la stessa opportunità diventa una chimera.

In troppi reparti, infatti, i buoni pasto non vengono concessi ogni volta che si dovrebbe maturare il diritto: variando ad esempio i turni di sevizio o aumentando la pausa pranzo per far perdere il diritto. Una discriminazione di fatto, una disparità ingiustificata che mina l’equità interna e che crea frustrazione, rabbia, senso di abbandono.

Ma non è tutto. Perché alle disomogeneità si aggiungono pratiche discutibili – per usare un eufemismo – da parte di alcuni comandanti. Sono stati segnalati atteggiamenti che oscillano tra la pressione indebita e il tentativo di dissuadere i colleghi dall’esercitare un diritto sacrosanto. In certi casi, si sfiora quella soglia pericolosa che porta verso forme di mobbing, un confine che non dovrebbe mai essere neanche lontanamente avvicinato da chi ha responsabilità di guida e di comando.

Poi c’è la seconda grande vergogna: i ritardi cronici nelle erogazioni. Quando finalmente un collega matura il diritto al buono pasto, e lo matura sul campo, troppo spesso questo buono resta intrappolato nei meandri dei processi amministrativi. Accade così che i buoni vengano caricati dopo mesi, a volte dopo un anno. Una tempistica irreale, incomprensibile, inaccettabile.

Il risultato? Colleghi che vivono lontano dalla propria famiglia, sostenendo costi doppi e senza il supporto dei propri cari, sono costretti ad anticipare di tasca propria ciò che spetterebbe all’amministrazione. Mentre ci dicono che i contratti sono pochi, che i fondi non bastano, che il potere d’acquisto è eroso.

E infatti lo è: gli stipendi non coprono neppure l’inflazione. Intanto, però, pretendiamo che chi serve lo Stato rinunci perfino al pasto cui ha diritto.

È una situazione indegna. Una situazione che non rispecchia né i valori della nostra istituzione né il rispetto dovuto a chi ogni giorno garantisce sicurezza, ordine, legalità.

Abbiamo presentato proposte, ipotesi di riforma, soluzioni operative. Ma ora serve una svolta. Serve una decisione politica e amministrativa chiara, immediata, non più rimandabile. Perché così, semplicemente, non si può andare avanti. E perché nessun finanziere, nessun lavoratore, nessun cittadino in uniforme, dovrebbe mai trovarsi nella condizione di doversi preoccupare di come riuscire a mangiare durante il proprio turno.

Vincenzo Piscozzo