LA SANA FOLLIA DI CHI SERVE LO STATO

30 Jul 2025

Editoriale a firma di Vincenzo Piscozzo - Segretario Generale dell' Unione Sindacale Italiana Finanzieri

Ascoli Piceno come Milano. Cambiano i nomi, cambiano le strade, ma il copione è sempre lo stesso: uomini in divisa che, dopo aver rischiato la vita per proteggere lo Stato, vengono trattati come criminali. È successo a tre carabinieri – Dino Baiocchi, Giuseppe Meco e Simone Valentini – durante un’operazione in borghese finita con un inseguimento e uno schianto. Ed è proprio Valentini, ferito, che oggi si ritrova sotto indagine. Non i delinquenti inseguiti. Lui. Il carabiniere.

Il suo errore? Aver fatto il suo dovere. Aver cercato di fermare due sospetti noti alle forze dell’ordine. Aver agito, invece che voltarsi dall’altra parte. E ora deve difendersi da accuse di lesioni personali e di un presunto “eccesso colposo di forza”.

Parliamo dello stesso uomo che, per evitare di essere investito, si è buttato a terra. Parliamo dello stesso Stato che lo ha addestrato, armato… e ora lo processa.

Ma questa non è un’eccezione. È diventata la regola.

I due militari della Guardia di Finanza a Crotone, condannati in primo grado per un’azione su una motovedetta. Quasi un milione di euro di risarcimento.

I quattro finanzieri di Cutro, messi sotto processo per aver prestato soccorso in un contesto caotico e drammatico.

Come si può indagare chi salva vite? Come si può mettere alla gogna chi difende la nostra?

A questo punto, una domanda è inevitabile, anzi necessaria:

Conviene ancora inseguire un fuggitivo? Conviene ancora intervenire davanti a un crimine? O è meglio abbassare lo sguardo, spegnere la sirena, e lasciare che l’illegalità prenda il sopravvento?

Perché oggi, chi serve lo Stato non è protetto dallo Stato.

Anzi. Spesso è proprio lo Stato, o una sua parte, a voltargli le spalle.

Per paura. Per opportunismo. Per salvare un consenso elettorale che strizza l’occhio a chi odia le divise, a chi distrugge, a chi insulta, a chi devasta.

Si criminalizza chi indossa un’uniforme.

Si assolvono i violenti, si giustificano i sabotatori. Si teme l’uso della forza anche quando è necessaria. Si parla di "eccesso", mai di dovere.

Ma lo sappiamo: un Paese che ha paura della propria legalità è un Paese già sconfitto.

Guardate i No TAV, guardate i recenti episodi di saccheggi e devastazioni: chi distrugge viene coccolato, chi interviene viene inquisito. E allora viene da chiedersi: è questo lo Stato in cui vogliamo vivere?

Se la legge punisce chi la fa rispettare, se chi difende le regole viene processato mentre chi le infrange viene difeso… allora non è la legge che va rispettata, è la legge che va cambiata.

Eppure, nonostante tutto, i nostri colleghi non mollano.

Ogni giorno, con lucidità e coraggio, scelgono di salire su una volante, di fare un posto di blocco, di entrare in una casa piena di rischi. Lo fanno sapendo che potrebbero finire in ospedale. O peggio, in un’aula di tribunale.

Lo fanno per noi. Anche quando lo Stato sembra non farlo per loro.

Lo fanno con quella che io chiamo sana follia.

*La follia di chi sceglie di credere nella giustizia anche quando la giustizia lo accusa*.

La follia di chi serve il popolo, anche quando una parte del popolo lo insulta.

La follia di chi non si arrende, anche se tutto intorno grida “arrenditi”.

Sì, c’è un’Italia che ha perso il senso della legalità. Ma c’è un’altra Italia  silenziosa, stanca, ma ancora viva  che crede nelle donne e negli uomini in divisa. Che sa che senza di loro, senza il loro coraggio, senza il loro sacrificio, non ci sarebbero né democrazia, né libertà, né sicurezza.

Questa è la follia che dobbiamo difendere.

Non è cieca. Non è violenta. È determinata, è pulita, è giusta.

È la sana follia di chi crede ancora nello Stato. Anche quando lo Stato sembra aver smesso di credere in lui.