Mancata attuazione dei fondi pensionistici complementari a favore del personale appartenente al comparto Difesa e Sicurezza.

 

 

Le pensioni pubbliche comprendono una pluralità di prestazioni diversamente correlate al rapporto di impiego o di servizio presso una pubblica amministrazione che discendono da disposizioni diverse ed aventi ciascuna proprie finalità.

I due pilastri del sistema pensionistico pubblico sono quello ordinario e quello complementare.

La materia è disciplinata dalla Legge DINI (n. 355/95) e dal successivo d.lgs. 252/2005 che ha visto il favore del legislatore verso questa forma di previdenza.

La legge di bilancio del 2017 ha manifestato un rinnovato interesse verso la previdenza complementare introducendo la cosiddetta R.I.T.A. ovverosia rendita integrativa temporanea anticipata che può essere richiesta dai lavoratori iscritti al fondo pensionistico complementare a contribuzione definita e solo in presenza di determinati requisiti di anzianità contributiva e di età.

Il personale militare (comprensivo dell’Arma dei Carabinieri) è destinatario dei trattamenti previdenziali integrativi erogati dalla Cassa di previdenza delle Forze armate di cui all’art. 1913 c.o.m. ora sostituita dall’Inps.

Trattasi di una forma di previdenza complementare sia pure caratterizzata dall’obbligatorietà del versamento contributivo da parte degli iscritti ed infatti l’avvio della previdenza complementare è da porre in relazione alla liquidazione delle prime pensioni calcolate con il sistema contributivo.

Gli sviluppi di tali riforme hanno portato all’istituzione di diversi fondi pensione per i dipendenti del settore privato e del pubblico impiego privatizzato.

Nel mondo militare la previdenza complementare e l’istituzione dei suoi fondi sono oggetto di negoziazione e concertazione.

L’accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare e l’art. 24 del D.P.R. n. 255/1999, con riferimento al personale delle Forze Armate, hanno precisato che le procedure di negoziazione e di concertazione attivate ai sensi dall’art. 26, co. 20, l. n. 448/1998 sono abilitate a definire:

1) la costituzione di uno o più fondi nazionali di pensione complementare;

2) la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse;

3) le modalità di trasformazione della buonuscita in trattamento di fine rapporto, le voci retributive utili per gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto, nonché la quota di trattamento di fine rapporto da destinare a previdenza complementare. (Corte dei Conti Sez. Reg. Puglia n. 207/2020).

Stante la mancata attuazione degli esiti di tali concertazioni e negoziazioni, diverse associazioni di categoria sottoponevano negli scorsi anni, all’attenzione dell’A.G.A. la questione della mancata istituzione di detti fondi. Il Giudice Amministrativo con sentenze del 2014, diffidava la PA ad adempiere a detta istituzione e successivamente nominava un Commissario ad acta il quale avrebbe dovuto sopperire a dette mancanze.

Tali pronunce hanno risolto la questione dibattuta sulla sussistenza di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile all’avvio e alla conclusione dei procedimenti negoziali da parte dei dipendenti pubblici che ne sono destinatari, riconoscendo la legittimazione in via esclusiva soltanto degli Organismi esponenziali di interessi collettivi chiamati a partecipare ai predetti procedimenti negoziali.

Pertanto, il Giudice Amministrativo ha ritenuto di poter individuare a carico del Commissario ad acta “soltanto un onere minimo indispensabile che è quello di attivare i procedimenti negoziali interessando allo scopo le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative ed i Consigli Centrali di Rappresentanza, senza tralasciare di diffidare il Ministro della Pubblica Amministrazione e la Semplificazione ad avviare le procedure di concertazione/contrattazione per l’intero Comparto Difesa e Sicurezza” (Corte dei Conti Sez. Reg. Puglia n. 207/2020).

Ciò non è bastato poiché ancora oggi nessuna PA di quelle competenti si è mossa per sopperire a dette mancanze a discapito dei pensionati.

Detto questo quale può essere la tutela di un possibile ricorrente davanti alla Corte dei Conti?

Sicuramente il cosiddetto legittimo affidamento che comporta una legittima richiesta di risarcimento del danno.

La sentenza 207/2020 della Corte dei Conti Puglia, in tema di calcolo del possibile danno, insegna: “Ai fini di quantificare il danno patrimoniale riferibile al montante accumulato fino a tutt’oggi, tenuto conto che la durata del giudizio non deve andare a detrimento della tutela richiesta dal ricorrente, la metodologia più corretta è quella di mettere a confronto il montante in regime di TFR, ossia in caso di avvio tempestivo del fondo pensione e contestuale esercizio dell’opzione, con quello in regime di TFS, ossia in caso di mancato avvio del fondo. Per determinare il montante degli optanti occorre quantificare, da un lato, l’ammontare della contribuzione che sarebbe stata apportata al fondo e, dall’altro lato, i rendimenti che si sarebbero conseguentemente realizzati, avendo a riferimento i rendimenti del fondo “Espero” in quanto unico fondo negoziale in essere per i dipendenti pubblici con una serie storica.

 

 

 Mancata attuazione dei fondi complementari

 

 

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