Osservazioni a margine della sentenza della corte di giustizia UE, grande sezione 2 marzo 2021.

Sommario:

1. Osservazioni preliminari. Il sistema giuridico europeo e l’ordinamento penale italiano. 

2. I tabulati telefonici nel procedimento penale italiano.

3. La pronuncia della grande sezione CGUE del 2 marzo 2021: problemi ermeneutici e ricadute applicative. 

4. L’ordinamento comunitario e il sistema penale italiano.

5. Osservazioni conclusive. L’adeguamento del diritto processuale italiano alla sentenza CGUE nella causa C.-746\18.

 

Osservazioni introduttive. Il sistema giuridico europeo e l’ordinamento penale italiano.

Uno spettro si aggira … per i palazzi di giustizia italiani. È la recente pronuncia della Corte di Giustizia unionale resa in Grande Sezione 2 marzo 2021 nella causa C. – 746/18.

L’origine della pronuncia si sostanzia in un rinvio pregiudiziale portato all’attenzione della CGUE dallo Stato membro avente ad oggetto il trattamento dei dati personali nel settore delle comunicazioni elettroniche, la Direttiva UE 2002/58/CE, i fornitori di servizi di comunicazione elettroniche, la riservatezza delle comunicazioni, le limitazioni all’indicata riservatezza; ancora oggetto della pronuncia della Corte unionale è la normativa che prevede la conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione da parte dei fornitori di servizi di comunicazioni elettroniche, l’accesso delle autorità nazionale agl’indicati dati serbati per finalità di indagine, la lotta contro la criminalità in generale l’autorizzazione concessa dal pubblico ministero, l’utilizzazione dei dati nel quadro del processo penale come elementi di prova in termini di ammissibilità[1].  

La pronuncia ha sortito un effetto fragoroso nell’ambito del sistema giudiziario italiano mettendo a dura prova i rapporti intercorrenti tra fonti del sistema e ricadute pratico applicative della sentenza nell’ambito del nostro ordinamento giuridico penale. In particolare, proprio il tema dell’ammissibilità dell’autorizzazione all’acquisizione dei dati personali nel settore delle comunicazioni elettroniche in relazione ai profili di utilizzabilità degli stessi nell’ambito del nostro processo penale posto il monopolio, a diritto vigente, in capo al P.M. di tale potestà, ha posto il problema degli effetti del pronunciamento in rassegna nel nostro sistema, con preciso riguardo all’eventuale inutilizzabilità sopravvenuta di tali acquisizioni che la Corte di Giustizia – come meglio vedremo in seguito – vuole di attribuzione esclusiva di un giudice terzo e imparziale.

Infatti, e qui il nocciolo del problema viene in particolare rilievo, la giurisprudenza formatasi in materia di procedimento probatorio[2], fino a tutto il secolo scorso, e in particolare fino alla fine del ‘900 la giurisprudenza riteneva che la valutazione della prova dovesse essere disciplinata dalle norme vigenti al momento dell’assunzione della stessa[3].

Le Sezioni Unite della Cassazione[4], sulla fine del secolo e in avvio di terzo millennio, hanno mutato radicalmente l’orientamento precedente ponendo in evidenza l’equivoco nel quale le pronunce precedenti erano cadute nel prefigurare il procedimento probatorio quale unitario e così detronizzando la plurifasicità che lo struttura. Hanno pertanto evidenziato che il procedimento de quo si compone di atti plurimi – ricerca, ammissione, assunzione e valutazione – tra di loro autonomi in termini di efficacia, di qui una formidabile ricaduta per il giudice in camera di consiglio. L’applicazione della disciplina vigente al momento della valutazione della prova, anche se tale disciplina è diversa da quella che vigeva al momento dell’assunzione.

Micidiali gli effetti di tale consolidato orientamento giurisprudenziale. Accade infatti che il giudice si trovi ad applicare un divieto probatorio di neo-conio non potendo utilizzare elementi acquisiti legittimamente al momento dell’assunzione.

Sul tema autorevole dottrina[5] ha operato considerazioni chiare e precise. L’applicazione delle norme sull’acquisizione probatoria si esaurisce nelle fasi di merito; in sede di legittimità va accertato solo il pregresso corretto governo di tali norme.

Alla luce di quanto osservato ben si comprende l’importanza della pronuncia CGUE per il sistema processuale italiano, importando, a questo punto, solo il comprendere quale lo stato degli atti transnazionali in termini di incidenza degli stessi nell’ambito delle fonti del diritto processuale penale italiano. Peraltro, è indispensabile, preliminarmente, procedere ad una ricognizione legislativa sui tabulati telefonici nel nostro sistema giuridico processual-penalistico in termini di soggetti, forme e modi di acquisizione disciplinati dalla legge italiana.

I tabulati telefonici nel procedimento penale italiano.

L’acquisizione dei tabulati del traffico telefonico è disciplinata dall’art.132 del decreto legislativo nr.196 del 2003, modificato da successive disposizioni di legge[6].

La conoscenza dei dati esterni del traffico telefonico non rientra concettualmente nell’intercettazione di comunicazioni e conversazioni; infatti non è integrato il requisito dell’intercettazione telefonica: la comunicazione in corso. È questa, che in quanto tale, è tutelata dall’art.15 Costituzione, ecco perché l’acquisizione dei tabulati, nel nostro sistema, può avvenire con decreto motivato del pubblico ministero. La norma di riferimento, il cit. art.135 codice della privacy, si occupa della conservazione di dati di traffico per altre finalità.

Il dispositivo della fattispecie in esame trova sede nella parte seconda del codice della privacy dedicata alle disposizioni specifiche per i trattamenti necessari per adempiere ad un obbligo legale o per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri nonché disposizioni per i trattamenti dei dati.

Il Capo I, del Titolo X, dell’indicata parte si occupano rispettivamente dei servizi di comunicazione elettronica e delle comunicazioni elettroniche. A fronte di tale collocazione morfologica, la norma all’attualità[7] dispone che i dati relativi al traffico telefonico conservati dal fornitore per 24 mesi dalla data della comunicazione, per finalità di accertamento e repressione dei reati, mentre, per le medesime finalità, i dati relativi al traffico telematico, esclusi comunque i contenuti delle comunicazioni, sono conservati dal fornitore per 12 mesi dalla data della comunicazione. I dati relativi alle chiamate senza risposta, trattati temporaneamente da parte dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico oppure di una rete pubblica di comunicazione, sono conservati per 30 giorni.

Entro gl’indicati termini, i dati sono acquisiti presso il fornitore con decreto motivato del pubblico ministero anche su istanza del difensore dell’imputato, della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa e delle altre parti private.

Il difensore dell’imputato, o della persona sottoposta alle indagini, può richiedere direttamente al fornitore i dati relativi alle utenze intestate al proprio assistito, con le modalità indicate dall’art.391quater[8] c.p.p.

La richiesta di accesso diretto alle comunicazioni telefoniche in entrata può essere effettuata solo quando possa derivarne un pregiudizio effettivo e concreto per lo svolgimento delle investigazioni difensive[9].

Ancora. Il ministro dell’Interno o, su sua delega i responsabili degli uffici centrali specialistici in materia infotelematica della polizia di Stato, dell’arma dei carabinieri e del corpo della guardia di finanza, possono ordinare, anche in relazione alle eventuali richieste avanzate da autorità investigative straniere, ai fornitori e agli operatori di servizi infotelematici di conservare e proteggere, secondo le modalità indicate  per un periodo non superiore a 90 giorni, i dati relativi al traffico telematico, esclusi comunque i contenuti delle comunicazioni ai fini dello svolgimento delle investigazioni preventive previste dall’art.226[10] delle norme di attuazione del Codice di procedura penale ovvero per finalità di accertamento e repressione di specifici reati. Il provvedimento prorogabile per motivate esigenze per una durata complessiva non superiore a 6 mesi, può prevedere particolari modalità di custodia dei dati e l’eventuale indisponibilità dei dati stessi da parte dei fornitori e degli operatori di servizi infotelematici, ovvero di terzi.

Il fornitore o l’operatore di servizi infotelematici cui è rivolto l’ordine deve ottemperarvi senza ritardo fornendo immediatamente all’autorità richiedente l’assicurazione dell’adempimento. Il medesimo fornitore o operatore è tenuto a mantenere il segreto, relativamente all’ordine ricevuto e alle attività conseguentemente svolte, per il periodo indicato dall’autorità[11].

I provvedimenti adottati nei termini suindicati sono comunicati per iscritto, senza ritardo e comunque entro 48 ore dalla notifica al destinatario, al pubblico ministero del luogo di esecuzione il quale se ne ricorrono i presupposti li convalida. In caso di mancata convalida, i provvedimenti assunti perdono efficacia[12].

In buona sostanza la versione vigente della norma prevede che siano conservati dal fornitore per differenti periodi temporali i dati di traffico telefonico articolati su tre diverse tipologie: a) le chiamate senza risposta, b) i dati di traffico telematico e c) i rimanenti dati del traffico telefonico in senso stretto.

L’effetto che ne consegue è che i termini di conservazione attuano una normativa ordinaria per reati comuni ed una speciale per gravi fatti di reato.

Sotto il primo versante i dati relativi al traffico telefonico sono conservati dal fornitore per 30 giorni dalla data della chiamata se si tratta di chiamate senza risposta; per 12 mesi dalla data della comunicazione se si tratta di dati di traffico telematico; per 24 mesi dalla data della comunicazione in ordine ai rimanenti dati del traffico telefonico.

Al fine di permettere l’accertamento e la repressione di reati di terrorismo, mafia, omicidio volontario, sequestro di persona a fini estorsivi, armi, stupefacenti, tratta di persone e le altre fattispecie indicate negli artt. 51 comma 3-quater[13] e 407, comma 2 lett. a)[14] c.p.p. il termine di conservazione dei dati è di 72 mesi: 6 anni[15].

Entro i termini di conservazione, così come sopra indicati, i dati sono acquisiti con decreto motivato del pubblico ministero.

Come anticipato possono essere acquisiti dalla pubblica accusa anche su istanza del difensore dell’imputato, dell’indagato o della persona offesa dal reato nonché dalle altre parti private. Inoltre, il difensore dell’imputato può chiedere direttamente al gestore del traffico telefonico i dati relativi alle utenze intestate al proprio assistito per il tramite di una richiesta di documenti alla pubblica amministrazione. Il medesimo difensore ha diritto di conoscere i dati del traffico entrante quando dalla mancata acquisizione può derivare un pregiudizio effettivo e concreto per lo svolgimento delle investigazioni difensive.

Nell’ambito di tal contesto normativo ha fatto irruzione la Sentenza CGUE del 2 marzo scorso della quale bisogna quindi scrutinare gli aspetti salienti e i punti di interesse al fine di poterne valutare portata e ricadute nel nostro ordinamento giuridico processuale penale.

La pronuncia della grande sezione CGUE del 2 marzo 2021: problemi ermeneutici e ricadute applicative.

I temi sui quali è intervenuta la Corte UE in Grande Sezione del 2 marzo 2021 sono stati rassegnati in avvio di discorso nel 1° paragrafo in sede di osservazioni preliminari, adesso cerchiamo di vedere da vicino il contenuto sostanziale della pronuncia europea.

La domanda di pronuncia pregiudiziale sollevata dalla Repubblica lettone, verte sull’interpretazione dell’art.15, paragrafo 1, della Direttiva 2002/58/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche – Direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche – come modificata dalla Direttiva 2009/136/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009, letto alla luce degli artt. 7, 8 e 11 nonché dell’art.52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

L’indicata domanda pregiudiziale è stata presentata nell’ambito di un procedimento penale istaurato a carico di un soggetto per le imputazioni di furto, di uso della carta bancaria di un terzo e di violenza nei confronti di persone partecipanti ad un procedimento giudiziario.

La Corte di Giustizia scevera dettagliatamente nella sentenza il contesto normativo: il delitto dell’Unione e, in particolare, il diritto estone rapportato ad esso. In particolare, nel diritto estone si rilevano disposizioni in virtù delle quali, tra l’altro è attribuito a un’autorità inquirente, a un’autorità autorizzata ad applicare misure di sorveglianza, al P.M. e al giudice la potestà in ordine all’acquisizione dei predetti dati. La Corte evidenzia poi che ai sensi del Codice di procedura penale vigente nella Repubblica di Estonia il pubblico ministero è una parte del procedimento giudiziario; dirige il procedimento istruttorio, di cui assicura la legittimità e l’efficacia, rappresentando la pubblica accusa in giudizio.

Lo scopo del procedimento istruttorio è di raccogliere prove e di predisporre le altre condizioni necessarie per lo svolgimento di un processo. Nel procedimento istruttorio l’autorità incaricata per le indagini e il P.M. verificano gli elementi a carico e quelli a discarico raccolti nei confronti del sospettato o dell’indagato. I poteri del pubblico ministero nel procedimento penale vengono esercitati da un procuratore che agisce in modo indipendente ed è soggetto soltanto alla legge.

La legge relativa al pubblico ministero estone, del 1988 prevede che il P.M. è un’autorità soggetta alla sfera di competenza del ministero della Giustizia la quale partecipa alla pianificazione delle misure di sorveglianza necessarie per la lotta e l’accertamento dei reati, dirige la fase istruttoria, di cui assicura la legittimità e l’efficacia, rappresenta la pubblica accusa in giudizio ed esercita le ulteriori funzioni assegnatagli dalla legge. Il pubblico ministero, nell’esercizio delle funzioni assegnategli dalla legge, è indipendente e agisce conformemente alla legge del 1998 nonché alle altre leggi e agli altri atti normativi emanati sulla loro base.

Il procuratore estone, nell’esercizio delle proprie funzioni, è indipendente e agisce esclusivamente secondo la legge e secondo il proprio convincimento.

Operata siffatta ricognizione normativa, Unionale e dello Stato membro, la Corte di Giustizia UE procede con lo scrutinio del procedimento principale e delle questioni pregiudiziali.

In termini meramente fattuali, con decisione del 6 aprile 2017 tale H.K. è stata condannata dal tribunale di primo grado Diru, in Estonia, a una pena detentiva di due anni per aver commesso tra il 17 gennaio 2015 e il 1 febbraio 2016 vari furti di beni – del valore compreso tra i 3,00 e i 40,00 euro – nonché somme di denaro per importi compresi tra i 5,20 e i 2.100,00 euro per aver utilizzato la carta bancaria di un terzo causando a quest’ultimo un danno di euro 3.941,82 e per aver compiuto atti di violenza nei confronti di persone partecipanti ad un procedimento giudiziario a suo carico.

Ai fini della condanna di H.K. per tali reati il tribunale di primo grado di Diru si è fondato, tra l’altro, su vari processi verbali redatti in base a dati relativi a comunicazioni elettroniche ex art.111, paragrafo 2, della legge relativa alle comunicazioni elettroniche, che l’autorità incaricata delle indagini aveva raccolto presso un fornitore di servizi di telecomunicazioni elettroniche nel corso del procedimento istruttorio dopo aver ottenuto, ai sensi dell’art.901 del Codice di procedura penale estone, varie autorizzazioni all’indicato fine dalla procura distrettuale di Diru.

Tali autorizzazioni concesse il 28 gennaio e il 2 febbraio 2015, il 2 novembre 2015 nonché il 25 febbraio 2016, riguardavano i dati relativi a vari numeri di telefono di H.K. e diversi codici internazionali di identificazione di apparecchiatura di telefonia mobile di quest’ultima per il periodo dal 1° gennaio al 2 febbraio 2015, per il giorno 21 settembre 2015 nonché per il periodo dal 1° marzo 2015 al 19 febbraio 2016.

La condannata in primo grado interpone gravame avverso la sentenza del tribunale innanzi alla Corte di Appello di Tartu, sempre in Estonia, che in data 17 novembre 2017 respinge l’appello.

Avverso tale ultima decisione la H.K. propone ricorso per Cassazione dinnanzi alla Corte Suprema dell’Estonia contestando, tra l’altro, l’ammissibilità dei processi verbali redatti in base ai dati ottenuti presso il fornitore di servizi di comunicazione elettroniche.

Ad avviso della ricorrente dalla sentenza Unionale del 21 dicembre 2016 – cosiddetta Sentenza Tele2 – le disposizioni della legge relativa alle comunicazioni elettroniche che prevedono l’obbligo dei fornitori di servizi di conservare dati relativi alle comunicazioni, nonché l’utilizzazione di tali dati ai fini della condanna, sono contrari all’art.15, paragrafo 1, della Direttiva 2002/58 letto in simbiosi con gli artt.7, 8 e 11 nonché dell’art.52, paragrafo 1, della Carta.

Alla luce di tale pregiudiziale eccezione, secondo il giudice di ultima istanza estone si pone la questione se i processi verbali redatti in base ai dati contemplati dalla legge relativa alle comunicazioni elettroniche possano essere considerati come costituenti elementi probatori ammissibili. Il giudice, in particolare, rappresenta che la risposta all’indicata questione presuppone di stabilire che la normativa comunitaria richiamata – in particolare il citato art.15, paragrafo 1 – debba essere interpretata nel senso che l’accesso delle autorità nazionali a dati che consentano di identificare la fonte e la destinazione di una comunicazione telefonica a partire dal telefono fisso o mobile di un sospettato deve determinare la data, l’ora, la durata e la natura di tale comunicazione, di identificare le apparecchiature di comunicazione utilizzate, nonché di localizzare il materiale di comunicazione mobile utilizzato, costituisce un’ingerenza nei diritti fondamentali in questione di gravità tale che l’indicato accesso dovrebbe essere limitato alla lotta contro le forme gravi di criminalità, indipendentemente dal periodo per il quale le autorità nazionale hanno richiesto l’accesso ai dati conservati.

Tra le altre considerazioni in materia, il giudice del rinvio nutre dubbi quanto alla possibilità di considerare il pubblico ministero estone come un’autorità amministrativa indipendente – così come esplicitato dalla Sentenza Tele2 cit.- che può autorizzare l’accesso dell’autorità autorizzata dell’indagine a dati relativi alle comunicazioni elettroniche come quelli di cui alla citata norma della legge relativa alle comunicazioni elettroniche. Nell’indicato contesto il giudice del rinvio rileva – dopo aver operato una ricognizione sulla figura del P.M. estone – che i suoi dubbi riguardo all’indipendenza richiesta dal diritto dell’Unione sono principalmente dovuti al fatto che il P.M. non solo dirige il procedimento istruttorio ma rappresenta anche la pubblica accusa nel processo, essendo tale autorità, in virtù del diritto nazionale estone parte nel procedimento penale. In virtù di tali circostanze la Corte Suprema ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla CGUE le indicate questioni pregiudiziali.

La Corte Comunitaria scrutina le indicate questioni nel dettaglio[16] e all’esito di tale – invero assai capillare – disamina perviene ad una declaratoria netta e precisa.

L’art.15, paragrafo 1, della Direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio

2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, come modificata dalla Direttiva 2009/136/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009, letto alla luce degli artt. 7, 8 e 11 nonché dell’art.52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea deve essere interpretato che esso osta ad una normativa nazionale, la quale consenta l’accesso di autorità pubbliche ad un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all’ubicazione, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull’ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate e a permettere di trarre precise conclusioni sulla sua vita privata, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro le gravi forme di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica e ciò indipendentemente dalla durata del periodo per il quale l’accesso ai dati suddetti viene richiesto nonché dalla quantità o dalla natura dei dati disponibili per tale periodo.

Nel dettagliato dispositivo di sentenza la Grande Sezione della CGUE evidenzia a chiare lettere che l’art.15, paragrafo 1, della Direttiva 2002/58 come modificata dalla Direttiva 2009/136, letto alla luce degli artt.7, 8 e 11 nonché dell’art.52, paragrafo 1 della Carta dei Diritti Fondamentali deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale renda il pubblico ministero – il cui compito è di dirigere il procedimento istruttorio penale e di eventualmente esercitare l’azione penale in un successivo procedimento – competente ad autorizzare l’accesso di un’autorità pubblica ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all’ubicazione ai fini di un’istruttoria penale.

Tale ultimo perentorio assunto, ancorchè svolto in chiave ermeneutica, rende di palmare evidenza le ragioni di perplessità e preoccupazione che sono aleggiate – ed invero ancora aleggiano – nei 139 palazzi di giustizia, presidi requirenti e giurisdizionali della nostra Repubblica. Invero se si riconoscesse portata precettiva alla pronuncia CGUE testé rassegnata si correrebbe il rischio – l’alto rischio – di veder inficiati nel successivo processo, o nell’ambito dello stesso procedimento investigativo, gli elementi di prova acquisiti nelle forme e coi modi disciplinati dall’art.132 del decreto legislativo 196 cit. soprattutto in virtù degli arresti giurisprudenziali su riportati in materia di inutilizzabilità e di vaglio della medesima sanzione processuale in sede di giudizio di legittimità.

Orbene, a nostro sommesso avviso, tali preoccupazioni, pur comprensibili, non sono del tutto fondate; ciò che deriva in virtù, soprattutto, dal fatto che la tematica delle fonti transnazionali – ed in particolare di quelle comunitarie – nell’ambito del nostro ordinamento giuridico penale non appare tale da consentire, per i fini che qui ne occupano, un’immediata precettività della pronuncia della Grande Sezione del 2 marzo all’interno del nostro sistema giuridico penale.

Espliciteremo le ragioni di tale nostra persuasione nel paragrafo che segue.

L’ordinamento comunitario e il sistema penale italiano.

In criminalibus l’impatto della normativa europea a seguito dell’approvazione del Trattato di Lisbona del 2007.

La tematica, che s’inserisce a pieno titolo nell’ambito del principio di riserva di legge nel quadro del superiore principio di legalità, va valutata alla luce del fatto che a tutt’oggi il principio di riserva di legge citato, così come espresso nella nostra Carta costituzionale, attribuisce esclusivamente al Parlamento della Repubblica la potestà normativa in materia penale.

Il Trattato di Lisbona entrò in vigore nel 2009; all’indomani cominciò l’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale che ha portato, per la materia di diritto penale italiano, ai seguenti punti fermi[17].

Innanzitutto, la potestà normativa penale è di competenza nazionale ancorché talune norme europee afferenti aree libertarie del cittadino possono inibire concretamente l’operatività della norma incriminatrice in virtù della prevalenza della norma europea per il tramite della causa di giustificazione di cui all’art.51[18] c.p.

L’UE può stabilire norme minimali inerenti alla profilazione dei reati e delle pene in aree criminale connotate da particolari gravità e con dimensione transnazionale tassativamente individuate. Più in generale la norma europea può farlo allorché queste si rivelino indispensabili ai fini dell’efficacia attuazione di politiche di armonizzazione europea in altri settori ordinamentali[19]. Segnatamente le indicate norme minime possono inerire all’an della sanzione penale ma anche alla configurazione precettale e alla specie e alla misura della pena. Laddove si versi in ipotesi di inadempimento da parte del legislatore italiano vi saranno per lo Stato specifiche sanzioni sul piano europeistico e precisamente l’avvio della procedura di infrazione in caso di Direttiva inadempiuta.

Ciò che rileva evidenziare in questa sede è che il giudice italiano non può supplire al mancato adempimento delle direttive da parte del legislatore nazionale; neanche nel caso in cui il legislatore abbia abrogato una normativa precedente rivelantesi adeguata alla domanda di tutela europea sostituendola con altra normativa ad essa inadeguata[20].

Il giudice ordinario interno ha l’obbligo di interpretare le norme penali esistenti in modo conforme al diritto Unionale. Tanto è obbligato a fare sempreché il dettato della norma interna permetta una tale interpretazione ed essa non sia in malam parte rispetto alla interpretazione della norma che sarebbe preferibile in assenza della normativa europea. Ciò vuol dire che non deve l’interpretazione del giudice nazionale comportare un peggioramento nella soluzione del caso nei confronti dell’imputato[21].

In materia di interessi finanziari l’art.86 TFUE è parso subito contemplare una prima forma di competenza penale diretta dell’Unione esercitabile mediante Regolamento. Puntualmente ciò si è verificato con l’entrata in vigore della procura europea a tutt’oggi in via di composizione con la nomina dei procuratori europei delegati (cosiddetti P.E.D.).

Comunque, e ad ogni buon fine la normativa europea non può mai derogare ai principi fondamentali di garanzia siano essi europei siano di stretta pertinenza del diritto costituzionale interno[22].

Se le considerazioni svolte si rivelano pacifiche nell’ambito del diritto penale sostanziale del nostro Paese il problema che c’inerisce in questa sede è di stretta pertinenza processual-penalistica. Dobbiamo quindi scrutinare i medesimi aspetti in tale ottica vagliando le ricadute del sistema giuridico Unionale nell’ambito dell’ordinamento processuale penale italiano vigente.

Con precipuo riguardo all’impatto del diritto comunitario nell’ambito del diritto nazionale italiano primo punto di riferimento è l’art.11[23] Cost., l’elaborazione giurisprudenziale del quale vuole che le norme comunitarie abbiano efficacia obbligatoria nel nostro ordinamento[24].

La situazione delle fonti transnazionali del diritto processuale penale con preciso riguardo, in particolare, al diritto comunitario può essere ricondotta ai seguenti due filoni di analisi: a) la fattispecie regolata dal diritto Unionale; b) la fattispecie regolata dalla sola norma italiana.

Orbene nel primo caso il giudice deve operare una netta distinzione. Se rinviene una norma europea dotata di efficacia diretta – ad esempio Regolamento o Direttiva self excuting – il giudice italiano deve disapplicare la norma interna confliggente con la norma comunitaria; ciò farà da come ammannito da Corte costituzionale nr.80/2011, facendo salvi i cosiddetti contro limiti.

Dinnanzi a una norma europea priva di effetti diretti – Direttiva non self excuting – il giudice italiano dovrà sollevare il giudizio incidentale di costituzionalità per violazione degli artt.11 e 117, comma 1, Cost. Nel caso da ultimo menzionato innanzi ad una direttiva di tal fatta non attuata in capo all’Italia si rinverrà l’obbligo di risarcire il danno provocato alla persona danneggiata.

Con riferimento all’ipotesi enucleata sub b) il giudice non deve disapplicare la norma nazionale. La Consulta ha invero precisato che l’Italia ha operato una cessione di parte della propria sovranità ma con i limiti dei principi e diritti fondamentali che sono garantiti dalla nostra Costituzione e sui quali è competente il giudice delle leggi trattandosi di principi supremi del nostro ordinamento e di diritti inviolabili[25]. In materia rilevano le cosiddette Decisioni Quadro adottate per ravvicinare le legislazioni degli Stati membri in materia di cooperazione di polizia e giudiziaria nel settore penale[26]. Gl’indicati atti sono per certi versi simili alle Direttive in quanto vincolanti gli Stati in ordine al risultato da ottenere; ma non in punto difforme e mezzi per ottenerlo.

Le Decisioni Quadro non hanno efficacia diretta, tuttavia la Corte di Giustizia con una celeberrima pronuncia – 16 giugno 2005 affaire Pupino cit. – ha affermato che il giudice nazionale è obbligato ad interpretare le norme interne in modo conforme alla Decisione Quadro anche se a questa non è stata data attuazione dal potere legislativo dello Stato membro.

Fuori dall’ambito di operatività dell’art.11 Cost. la regola generale è quella in virtù della quale il rango delle norme dei Trattati introdotte nel nostro ordinamento è equivalente a quello della legge contenente l’ordine di esecuzione del Trattato stesso.

In materia si deve segnalare l’intervento del legislatore costituzionale del 2003 con la legge nr.131 sull’art.117, comma 1, Cost. che oggi impone al legislatore italiano il rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali. In virtù di tale novella costituzionale la Consulta ha statuito che le norme contenute nei Trattati assumano la natura di norme interposte; per l’effetto hanno un rango inferiore alla Costituzione e superiore alla legge ordinaria.

Le norme contenute nei Trattati non sono di automatica recezione costituzionale dovendosi anzi sempre verificare la conformità delle stesse alla nostra Carta. Cionondimeno sul legislatore italiano incombe l’obbligo di rispettare i vincoli derivanti dagli obblighi internazionali

Il giudice italiano ha l’obbligo di interpretare la legge nazionale in modo conforme alla norma internazionale nel limite massimo consentito dal testo della legge nazionale. Se la legge nazionale contrasta con la norma internazionale il giudice italiano non può disapplicare la legge interna bensì deve investire della questione la Consulta in relazione al parametro di cui all’art.117, comma 1, Cost.

La Consulta, nei termini suindicati investita della questione, deve valutare la compatibilità della legge nazionale con il Trattato – norma interposta – e successivamente, deve verificare la compatibilità del Trattato stesso con la Costituzione repubblicana[27].

Ordunque è alla luce dei parametri costituzionali da ultimo indicati che si deve valutare l’impatto della Sentenza CGUE 3 marzo 2021, in rassegna, nel nostro ordinamento giuridico processuale penale e segnatamente qual è la problematica in termini applicativi da essa originata per il nostro sistema processuale onde, in particolare, evitare problemi di invalidità di atti investigativi compiuti in difformità agl’orientamenti ermeneutici CGUE ed in particolare in relazione ai profili di inutilizzabilità ex art.191[28] c.p.p. evidenziati nel testo.

In buona sostanza la Sentenza CGUE in parola, dalla portata interpretativa conforme alla legislazione Unionale, è o non è suscettiva di immediata adattabilità nel nostro sistema processuale penale ad esempio per il tramite di un’analogia legis che ne consenta l’immediato impiego dei principi espressi all’interno del nostro processo?

Orbene, ad avviso di chi scrive, attesa la portata della legislazione processuale penale ordinaria vigente e i principi processuali recepiti dalla nostra Carta costituzionale, la risposta è negativa.

Il relativo percorso argomentativo può essere compendiato nei termini che seguono.

Osservazioni conclusive. L’adeguamento del diritto processuale italiano alla sentenza CGUE nella causa C.-746\18. Profili ermeneutici di adattabilità ed aspetti problematici.

Da quanto si è riportato nelle pagine che precedono ben si comprende che la Sentenza CGUE emessa in sede di rinvio pregiudiziale effettuato dalla Corte di giustizia estone abbia destato perplessità negli Stati il cui ordinamento giuridico non rinviene disposizioni procedimentale in tema di acquisizione dei tabulati conforme all’indirizzo interpretativo offerto il 3 marzo corrente anno dalla Corte Unionale.

Non vi è dubbio che il giudice italiano debba interpretare la norma nazionale in modo conforme all’interpretazione offerta dalla Corte Europea; del pari non vi è dubbio che tanto il giudice nazionale debba fare attenendosi al limite del testo della legge interna[29].

Il sistema in virtù del quale il giudice interno deve procedere ad un’attività di adeguamento interpretativo della norma nazionale contrastante coi paradigmi giurisprudenziali europeistici è dato per l’appunto dal nucleo testuale della proposizione normativa in termini di adattabilità interpretativa per il tramite dell’integrazione analogica ex art.12[30] cpv. disp. prel. Codice civile.

Dinnanzi a ad una limitazione testuale della legge interna che non consente l’oltrepassamento analogico del tessuto positivo offerto, il giudice italiano non potrà disapplicare la norma nazionale bensì dovrà investire della questione la Consulta al fine di farle valutare la compatibilità della legge nazionale con quanto stabilito in sede europea.

A fronte di un rilevato contrasto la norma (o le norme, se più d’una) ritenuta contrastante andrà dichiarata costituzionalmente illegittima in relazione al parametro costituzionale di cui all’art.117, comma 1, della nostra Carta[31].

La Corte Costituzionale[32] occupandosi dei margini ermeneutici del giudice italiano innanzi ai principi espressi dalle sentenze della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, ha elaborato taluni orientamenti guida che ben possono attagliarsi al caso di specie. La Consulta ha approfondito l’approccio che i giudici interni devono adottare nell’interpretazione dei principi affermati dalle Sentenze CEDU.

Secondo i giudici di Palazzo della Consulta esse debbono ritenersi assoggettate all’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme se ed in quanto non si è in grado di cogliere in termini di immediatezza l’effettivo principio di diritto che il giudice di Strasburgo ha inteso affermare per risolvere il caso concreto[33]. Ciononostante, rammentano i giudici costituzionali nelle citate pronunce, il ruolo di ultima istanza esegetica sui diritti fondamentali <>, deve coordinarsi con l’art.101, comma 2, Cost. nel punto di sintesi tra autonomia interpretativa del giudice comune e dovere di quest’ultimo di prestare collaborazione affinché il significato del diritto fondamentale cessi di essere controverso.

Muniti di tale bagaglio concettuale, espresso al massimo della sua autorevolezza giurisdizionale, possiamo cimentarci nella soluzione del problema relativo alle ricadute della pronuncia europea di termini di adeguamento del nostro sistema processuale a quanto statuito da CGUE 3 marzo 2021.

L’opzione interpretativa fondata – e percorsa da talune procure della Repubblica – sull’integrazione analogica con l’istituto, mezzo di ricerca della prova, delle intercettazioni non ci persuade. Invero la nuova disciplina delle intercettazioni[34], applicabile ai procedimenti iscritti dal 1 settembre 2020, individua una serie di differenziazioni applicative di impervia attingibilità ad opera di un procedimento quale quello delineato dall’art.132 Codice privacy sul versante dell’interpretazione analogica.

In particolare la disciplina delle intercettazioni telefoniche, novellato come rammentato, distingue tre diverse tipologie o classi di reato all’interno delle quali opera un sistema binario che differenzia il procedimento intercettativo ordinario da quello di urgenza. Così valgono delle regole per i reati indicati nell’art.266 c.p.p. e, se si tratta di intercettazioni telematiche, anche per quelli di cui all’art.266-bis c.p.p.; altre regole valgono per i reati di criminalità organizzata, terrorismo, delitti contro la personalità individuale, sfruttamento della prostituzione; altre ancora per i delitti dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione puniti con il massimo della pena non inferiore a 5 anni di reclusione.

Nell’ambito della prima classe, proseguendo nel percorso normativo tracciato, vengono richiesti gravi indizi di reato e, ad esempio il captatore – cd. trojan – d’urgenza non è consentito. In ordine alla seconda classe gli indizi si rivelano bastevoli se sufficienti così come per la terza tipologia indicata con tempistiche, nel caso d’urgenza, pressoché similari[35].

A fronte di una così dettagliata disciplina del sistema delle intercettazioni ben si comprende che i limiti di testualità normativa si palesano a tutta prima evidenti demandando al giudice – e prima ancora al P.M. – la matrice regolamentare del caso applicabile attribuendogli un tasso di discrezionalità fuori dai casi previsti dalla legge.

Ma vi è un altro argomento, testuale, che a nostro avviso sbarra la strada all’analogia legis in subjecta materia. Ci s’intende riferire alla fondamentale disposizione di cui all’art.328[36] c.p.p.. Essa tipicizza i casi in cui il giudice per le indagini preliminari si pronuncia su richiesta dei soggetti del procedimento (P.M., parti private, persona offesa dal reato). Vi sono poi casi previsti da leggi speciali nell’ambito dei cosiddetti casi previsti dalla legge nei quali il G.I.P. provvede su richiesta e, tra questi, ad oggi, non vi è certamente quello relativo all’acquisizione dei tabulati telefonici.

Un ultimo argomento, a nostro avviso davvero dirimente, militante univocamente nel senso di un’incapacità per l’autorità giudiziaria ordinaria ad intervenire in termini di adattabilità al sistema processuale interno del pronunciamento europeo è offerto dal tessuto costituzionale del sistema ordinamentale penale delineato dalla nostra Carta fondamentale.

Dal 1999[37] difatti nel nostro ordinamento giuridico ha ricevuto investitura costituzionale il principio di legalità processuale col suo corollario della riserva di legge in termini omologhi e speculari al principio di legalità e di riserva di legge che assistono da sempre il diritto penale sostanziale. A mente del comma dell’art.111 della Costituzione la giurisdizione si applica mediante il giusto processo regolato dalla legge.

Rapportando la menzionata disposizione al principio in virtù del quale nessuno può essere punito se non in forza di una legge ex art.25, cpv. Cost. ben si coglie la specularità in materia penale dei due indicati principi sia sotto il versante dello jus criminale in senso stretto e del diritto processuale penale.

In buona sostanza può ben dirsi che il principio di legalità ed il sottoprincipio di riserva di legge (allorché relativizzata) contemplati dall’art.25 cpv. Cost. sta al principio di legalità ed al sottoprincipio di riserva di legge codificati nell’art.111, comma 1, della Costituzione repubblicana.

Nessuno, al di fuori del legislatore, può introdurre norme penali e processual penalistico nell’ambito del relativo sistema giuridico; non può farlo l’autorità amministrativa come non può farlo l’autorità giudiziaria e/o giurisdizionale.

È soprattutto in virtù di tale ultimo argomento sceverato che riteniamo impraticabile la strada dell’adattamento legislativo alla pronuncia CGUE per il tramite dell’attività interpretativa e giudiziaria nelle forme dell’analogia legis in modi pressoché giuridicamente sicuri.

Dinnanzi a tali considerazioni giuridiche, a nostro avviso le strade praticabili per un adeguamento del diritto processuale penale interno ai contenuti precettivi interpretativamente statuiti dalla Corte Unionale in sede di rinvio pregiudiziale estone sono due.

O un intervento della Consulta debitamente stimolata in sede di incidente di costituzionalità con una pronuncia di tipo manipolativo che esempli il sistema al pronunciamento dei giudici di Lussemburgo; ovvero, cosa di gran lunga più auspicabile, un intervento legislativo ottemperatore della Sentenza CGUE e disciplinante le modalità di acquisizione dei tabulati nelle forme e coi modi indicati dai Giudici della Corte dell’Unione Europea[38].

Non appare davvero sussistere, ad avviso dello scrivente, alternative di adeguamento sistemico interno al pronunciamento Unionale diverse da quelle testé indicate. È solo la legge ordinaria – o l’intervento del giudice delle leggi – a poter attuare la giurisdizione incidendo sull’articolato normativo che profila il giusto processo nel nostro Paese[39].

 

Articolo scritto dal socio Sergio Ricchitelli e pubblicato sul portale Diritto.it, prelevabile qui in formato pdf.