Consiglio di Stato, Sez. I, sent. del 10 luglio 2020, n. 1279.
Alla luce della giurisprudenza eurounitaria e nazionale che, in materia di esercizio dell’attività di raccolta delle scommesse, ha sancito la legittimità del sistema del così detto “doppio binario”, per cui l’esercizio di tali attività commerciali ben può essere sottoposto, per motivi imperativi di tutela dell’ordine pubblico, alla doppia limitazione della concessione statale e dell’autorizzazione di polizia, il comma 644 dell’art. 1 della legge di stabilità per l’anno 2015 (l. 23 dicembre 2014, n. 190) - che ha consentito anche ai soggetti che non hanno aderito alla regolarizzazione prevista dal precedente comma 643 la prosecuzione, a determinate condizioni, dell’attività di raccolta delle scommesse per conto di soggetti terzi, anche esteri, non collegati al totalizzatore nazionale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli - è applicabile solo ai soggetti che già svolgevano l’attività di raccolta delle scommesse (così “centri di trasmissione dati”) alla data del 31 ottobre 2014, con esclusione dei soggetti che abbiano iniziato tale attività successivamente (1).
Il comma 644 dell’art. 1, l. 23 dicembre 2014, n. 190 deve interpretarsi nel senso che la comunicazione al Questore ivi prevista, se non può considerarsi alla stregua di una domanda di rilascio dell’autorizzazione di polizia prevista dall’art. 88 del TULPS, dà comunque origine, ove sussistano i requisiti soggettivi e oggettivi in capo al soggetto che l’ha effettuata, a un rapporto di controllo autorizzatorio nel corso del quale l’Autorità di pubblica sicurezza può in qualunque momento esercitare tutti i poteri di controllo previsti dal TULPS e da ogni altra norma speciale applicabile alla fattispecie, non potendo la suddetta comunicazione essere equiparata a una s.c.i.a. e dovendosi pertanto escludere la sussistenza di termini perentori e decadenziali per l’esercizio dei poteri di controllo e repressivi del Questore (1).
(1) Ha ricordato la Sezione che i commi 643-644 dell’art. 1, l. 23 dicembre 2014, n. 190 – nasce dall’esigenza di porre rimedio a un ampio contenzioso che si era in precedenza generato riguardo alla possibilità di operare in Italia da parte di primari bookmaker e gestori di case da gioco stabiliti in altri paesi dell’Unione, che agivano nel mercato italiano tramite l'intermediazione di numerose agenzie, comunemente denominate «centri di trasmissione dati» («CTD»), che offrono i loro servizi in locali aperti al pubblico in cui mettono a disposizione degli scommettitori un percorso telematico che consente di accedere al server del bookmaker estero, al di fuori, dunque, del collegamento al totalizzatore nazionale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli.
Come ha ricordato il Ministero, le linee interpretative vincolanti in questa materia sono state dettate dalle note sentenze della Corte di giustizia del Lussemburgo 6 marzo 2007, nelle cause riunite C-338/04, C-359/04 E C-360/04 (Placanica), 16 febbraio 2012, nelle cause riunite C-72/10 e C-77/10 (Costa-Cifone) e 12 settembre 2013, nelle cause C-660/11 e C-8/12 (Biasci), in base alle quali gli artt. 43 CE e 49 CE ostano alla normativa nazionale che escludeva dal settore dei giochi di azzardo gli operatori costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati (per difetto di identificabilità dei soci), ostano altresì alla successiva normativa nazionale che ha imposto l'obbligo per i nuovi concessionari (chiamati in esecuzione della sentenza “Placanica”) di insediarsi ad una distanza minima da quelli già esistenti, ostano inoltre a una normativa nazionale che impedisca di fatto qualsiasi attività transfrontaliera nel settore del gioco indipendentemente dalla forma di svolgimento della suddetta attività e, in particolare, nei casi in cui avviene un contatto diretto fra il consumatore e l’operatore ed è possibile un controllo fisico, per finalità di pubblica sicurezza, degli intermediari dell’impresa presenti sul territorio.
La medesima giurisprudenza eurounitaria ha peraltro chiarito (sentenza Biasci, cause riunite C‑660/11 e C‑8/12, cit.) che “l’obiettivo attinente alla lotta contro la criminalità collegata ai giochi d’azzardo è idoneo a giustificare le restrizioni alle libertà fondamentali derivanti da tale normativa, purché tali restrizioni soddisfino il principio di proporzionalità e nella misura in cui i mezzi impiegati siano coerenti e sistematici (v., in tal senso, citate sentenze Placanica e a., punti da 52 a 55, nonché Costa e Cifone, punti da 61 a 63)”.
Il Giudice eurounitario ha in tal modo legittimato il sistema della cd. doppia autorizzazione, affermando che gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che imponga alle società interessate a esercitare attività collegate ai giochi d’azzardo l’obbligo di ottenere un’autorizzazione di polizia, in aggiunta a una concessione rilasciata dallo Stato al fine di esercitare simili attività, rilevando in sostanza che l'obiettivo della lotta contro la criminalità collegata ai giochi d'azzardo è idoneo a giustificare quelle misure restrittive che soddisfino il principio di proporzionalità.
La Corte del Lussemburgo ha altresì escluso l’obbligo dello Stato, nel cui territorio si intende svolgere l’attività di raccolta delle scommesse, di riconoscere i titoli concessori/autorizzatori rilasciati dallo Stato di stabilimento dell’operatore economico (non esistendo allo stato attuale un “obbligo di mutuo riconoscimento delle autorizzazioni rilasciate dai vari Stati membri: v., in tal senso, sentenze dell’8 settembre 2010, Stoß e a., C-316/07, da C-358/07 a C-360/07, C-409/07 e C-410/07, Racc. pag. I-8069, punto 112, nonché del 15 settembre 2011, Dickinger e Ömer, C-347/09, Racc. pag. I-8185, punti 96 e 99)”, con la conseguenza per cui “il fatto che un operatore debba disporre sia di una concessione sia di un’autorizzazione di polizia per poter accedere al mercato di cui trattasi non è, in sé, sproporzionata rispetto all’obiettivo perseguito dal legislatore nazionale, ossia quello della lotta alla criminalità collegata ai giochi d’azzardo”.
Questa impostazione – secondo la quale la disciplina dei giochi d’azzardo incide (anche) sulla materia dell’ordine pubblico, giustificando la vigenza del regime autorizzatorio previsto dagli artt. 86 e 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 - è stata ribadita recentemente dalla Corte costituzionale con la sentenza 27 febbraio 2019, n. 27 [“Questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi più volte riguardo alla disciplina dei giochi leciti, ricondotta alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordine pubblico e sicurezza» per le modalità di installazione e di utilizzo degli apparecchi da gioco leciti e per l’individuazione dei giochi leciti. Si tratta di profili, infatti, che evocano finalità di prevenzione dei reati e di mantenimento dell’ordine pubblico (sentenze n. 72 del 2010 e n. 237 del 2006), giustificando la vigenza del regime autorizzatorio previsto dagli artt. 86 e 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza)]”.
In questa stessa direzione si muove, infine, la giurisprudenza del Consiglio di Stato e del Giudice amministrativo di primo grado (si vedano, in tema, il parere della sez. I 15 gennaio 2020, n. 137 e la sentenza della sez. III, 10 agosto 2018, n. 4905.
La Corte di Giustizia dell'Unione europea, peraltro, ha di recente chiarito – esaminando la disciplina tedesca (sentenza n. 336 del 4 febbraio 2016, in causa C-336/14, Sebat) – che l’art. 56 TFUE osta a che uno Stato membro punisca l’intermediazione senza autorizzazione di scommesse sportive nel suo territorio effettuata per conto di un operatore titolare di una licenza per l’organizzazione di scommesse sportive in un altro Stato membro qualora il rilascio di un’autorizzazione all’organizzazione di scommesse sportive sia subordinato all’ottenimento, da parte di detto operatore, di una concessione sulla base di una procedura di assegnazione di concessioni che non rispetta i principi di parità di trattamento e di non discriminazione in ragione della nazionalità, nonché l’obbligo di trasparenza che ne deriva. Con la conseguenza che un operatore economico, autorizzato nel paese d'origine, può legittimamente esercitare il gioco d'azzardo in un altro Stato membro qualora la legislazione di quest'ultimo ostacoli o impedisca l'ottenimento di una concessione (fermo restando l’obbligo di munirsi, per i centri di raccolta delle scommesse, delle previste autorizzazioni di polizia).